DISEGNO DI LEGGE RIFORMA ELETTORALE (Avv. Vincenzo Paolillo)

rassegna cinematografica

Nell’ultima riunione del nostro Comitato avevo formulato alcune critiche al disegno di legge sulla legge elettorale approvato dal Senato il 27/1/2015 e mi era stato chiesto di riepilogarle in un testo scritto.
Mi sono messo all’opera, sia pure con un qualche ritardo e devo ammettere che ero caduto in un qualche equivoco, considerato che il testo che avevo esaminato ha poi subito alcune – e rilevanti – modifiche nella approvazione definitiva.
Devo però osservare di essere stato in buona compagnia, anche perché sia coloro che lo avevano difeso, sia coloro che lo avevano attaccato sono – a quanto mi è parso di capire – caduti in analoghi equivoci ed anche oggi – vedi Repubblica del 24/3 – il Presidente del Consiglio sembra non avere affatto chiaro ciò che ha fatto approvare ai “suoi” parlamentari.

Premetto che il testo di legge è – come sempre più spesso avviene negli ultimi tempi – alquanto lungo (22 pagine a doppia colonna), complicato, farraginoso anche perché non costituisce un testo unitario ma una modifica della precedente disciplina, che in parte resta inalterata, in parte viene modificata, in parte viene sostituita.
Quindi potrei non avere capito bene, ragione per cui sarei molto lieto se qualcun altro volesse approfondire e magari correggermi.
Se ho ben capito però – e contrariamente a quanto sembra sostenere il Presidente del Consiglio – non è semplicemente che il premio di maggioranza viene attribuito alla lista invece che alla coalizione, è che le coalizioni e gli apparentamenti spariscono tout court (vedi abolizione dell’art. 14 bis della precedente normativa) e restano solo le liste.
Il risultato è di conseguenza che chi vuol partecipare alle elezioni o fa una sua lista o entra nella lista di un altro e ciò per legge.
Inoltre, per poter avere una sua pur minima rappresentanza nel nuovo Parlamento, la singola lista deve superare la soglia del 3%
Quindi “i piccoli”, che non si sentono in grado di raggiungere tale soglia, debbono per forza confluire nelle liste dei “grandi”, sotto il simbolo dei “grandi” e avendo per capofila il “grande”.
In conseguenza sparisce totalmente la possibilità da parte di chi ha una consistenza limitata (attenzione il 3% è un riferimento nazionale per cui potrebbe trattarsi anche di una forza politica che, in un territorio ristretto, ha un rilevantissimo consenso) non solo di avere una rappresentanza ma anche sostanzialmente di partecipare alla consultazione elettorale; ha solo la possibilità di affidarsi ai patteggiamenti e agli accordi preelettorali, nei quali il “piccolo” si trova evidentemente in una posizione di rilevante inferiorità (“o vieni con me o sparisci e se vuoi andare da solo sarai vittima della campagna sul voto utile”).
Dal ricatto dei piccoli, di cui parla il Presidente del Consiglio, si passa a quello dei grandi.
Con buona pace del concetto secondo cui le minoranze costituiscono il sale della democrazia.
Ma non è questo il punto più rilevante.
Con il nuovo sistema la lista (non più la coalizione cioè), che raggiunge il 40% dei voti validi, ha diritto a 340 seggi cioè al 54% dei seggi.
Le altre liste si ripartiscono quanto rimane.
Anche se così si vorrebbe dare ascolto ai principi esposti dalla Corte Costituzionale, a mio parere, c’è una divaricazione francamente enorme, che perpetua il vizio.
Sennonché, purtroppo, non ci si ferma qui.
Se nessuna lista raggiunge il 40%, si dà luogo ad un ballottaggio tra le due liste che hanno ottenuto il maggior numero dei voti.
E la lista che vince il ballottaggio prende comunque 340 seggi, mentre i residui 290 si ripartiscono tra le altre liste che abbiano ottenuto almeno il 3% dei suffragi.
E ciò indipendentemente dalla percentuale ottenuta al primo turno.
Si verifica qui il vulnus più grave ai principi democratici e costituzionali in quanto la nuova normativa ricade nello stesso vizio della vecchia, semmai lo aggrava.
Vediamo quanto è successo nelle ultime elezioni: il partito che ha ottenuto il maggiore numero di voti ha superato di poco 25%; il secondo partito non ha raggiunto il 24%.
Si arriva quindi a percentuali molto basse, ma a parte ciò nulla esclude che il ballottaggio sia vinto da chi arriva secondo.
Quindi costui si troverebbe ad avere il 54% dei seggi e tutti gli altri che complessivamente hanno più del 75% si dovrebbero ripartire il 46% dei seggi.
Ovviamente in un sistema multipartitico come è il nostro (a proposito non dice niente il fatto che in molti Stati in passato almeno tradizionalmente bipartitici quali Inghilterra, Israele, Spagna ecc. si stia andando verso il multipartitismo?) ben è possibile che vi sia una ulteriore e maggiore polverizzazione per cui rischia di partecipare al ballottaggio e magari vincere anche una forza politica lista che, nel primo turno (che è quello in cui si manifesta effettivamente la volontà degli elettori), magari ha ottenuto meno del 20% dei consensi.
Altra cosa: il Parlamento nomina il Presidente della Repubblica, una buona parte dei Giudici Costituzionali, dei componenti il Consiglio Superiore della Magistratura, – cioè tutti gli organi di garanzia può – modificare la Costituzione.
Il Parlamento, con la riforma costituzionale in via di approvazione, a parte i senatori di nomina del Presidente della Repubblica, sarà composto di 630 deputati e 95 senatori; totale 725.
Maggioranza assoluta, in relazione alle suddette nomine, 725 : 2 = 362,5, vale a dire 363.
Per fare l’asso pigliatutto, a chi vince le elezioni alla Camera (senza avere la maggioranza dei voti), sono sufficienti solo 23 senatori.
Dice nulla?
Non sorge il dubbio che si vogliano far sparire gli organi di garanzia ed una singola forza politica diventi Parlamento, Governo e appunto organi di garanzia, con la totale eliminazione dei contrappesi?
Anche perché da noi la verifica elettorale avviene a tempi lunghi (almeno 5 anni).
Io non ho molta fiducia nel rispetto dei fondamentali principi democratici da parte di Renzi.
Ma so anche benissimo che – purtroppo – potrebbe non essere il peggiore, anzi.
E mettere un simile strumento nelle mani di un futuro chicchessia mi pare demenziale.
Ma ritorniamo agli aspetti tecnici che poi sono il fondamento di quella forma di Stato a cui si riferisce il nostro Comitato.
In proposito è opportuno rileggere con attenzione la decisione della Corte Costituzionale che ha dichiarato la illegittimità costituzionale di alcune parti della precedente legge elettorale.
Ebbene la stessa ha puntualizzato la differenza che esiste tra Parlamento ed altri organi elettivi, per cui quello che è ammissibile per questi ultimi non lo è in relazione al primo, considerato che “le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della <> (art. 67 cost.), si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali, dotate di <> (sentenza n. 106 del 2002, id., 2002, I, 1595), fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione (art. 138 Cost.): ciò che peraltro distingue il parlamento da altre assemblee rappresentative di enti territoriali.”
Ciò detto, tale pronuncia afferma che “il principio democratico definito dalla Costituzione è basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48 – 2° comma Cost.)” , “ Esso, infatti, pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un determinato sistema, esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi (sentenza n. 43 del 1961, cit.)”, ragione per cui se è ammissibile che si persegua un obbiettivo di “rilievo costituzionale, quale è quello della stabilità del governo del paese e dell’efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare”, occorre sempre che si rispetti “il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti di cui agli art. 1-2° comma, 3,48, 2° comma e 67 Cost.”.
(N.B.: Si potrebbe osservare che l’obbligo è stato benevolmente riconosciuto dalla Corte, ma non ha una conferma testuale, mentre gli altri valori si).
Ragione per cui non è “ proporzionato rispetto all’obiettivo perseguito” una disciplina che “determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente”.
In quella pronuncia si è osservato che la mancanza di identificazione di una soglia minima che consenta il maturare del premio “tale da trasformare, in ipotesi, una formazione che ha conseguito una percentuale molto ridotta di suffragi in quella che raggiunge la maggioranza assoluta di componenti dell’assemblea” produce “un’eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, 2° comma, Cost.”.
Ovviamente quello esaminato in quella pronuncia non è l’unica fattispecie, in cui si realizza tale vizio ma altre possono sussistere.
A mio parere tale vizio si può ritenere realizzato nella legge elettorale in gestazione già laddove scatti il cd premio di maggioranza, in quanto un premio del 54% ad una lista che raggiunge appena il 40, costituisce una eccessiva “divaricazione” nel senso identificato dalla Corte, tanto più quando le altre liste che raggiungono complessivamente il 59,9% dei voti (e quindi sostanzialmente sono rilevante maggioranza) si troverebbero ad avere solo il 46% dei seggi.
Ma risulta assolutamente eclatante ove si consideri che, laddove non si realizzano i presupposti per la operatività (il raggiungimento da parte di una lista di una percentuale di consensi pari o superiore al 40% dei voti validi espressi), il premio viene fatto comunque scattare con il meccanismo del ballottaggio.
In tale situazione non è necessaria una soglia minima – difetto comune alla precedente normativa e già censurato – ma il premio viene comunque assegnato e nemmeno è detto che venga assegnato alla lista che ha ottenuto il maggiore numero di consensi, ma bene è possibile che lo sia a quella, per così dire, arrivata seconda, che prevalga nel ballottaggio con ciò acquisendo i 340 seggi.
Ne si dica : ma ha vinto il ballottaggio.
Tale vittoria non sarebbe frutto del consenso ma semmai del dissenso nei confronti di chi è arrivato primo al primo turno.
Il che non è certamente espressione della reale volontà del corpo elettorale.
Il difetto è a mio parere aggravato dal venir meno delle coalizioni.
I cittadini “minoritari” non vengono rappresentati ma per poterlo fare debbono entrare nella “casa” dei grandi, debbono sottostare alla volontà di altri.
Da ultimo le preferenze: 100 (i capilista) su 630 sono nominati, solo gli altri possono essere eletti con le preferenze.
Coniugando tale situazione con quella della eliminazione delle coalizioni, a me pare si realizzi un ulteriore vulnus al diritto di tutti i cittadini di esercitare la sovranità (art. 1, 2° comma), di “determinare la politica nazionale” (art. 49).
Infine una ulteriore dimostrazione di come i piccoli (che non sono in grado di presentarsi da soli) siano ridotti a meri “portatori d’acqua” senza nessuna possibilità di rappresentanza.
Infatti i collegi sono molti (100) e molto ristretti ed eleggono non più di 9 deputati: tanto per essere precisi in media 6.3 deputati (630:100); quindi in alcuni collegi anche meno di 6.
Chi ottiene il premio di maggioranza nei collegi più grandi, al massimo, avrà 5 deputati di cui uno è il capolista.
Ovviamente negli altri meno, e/o molti meno.
Ovviamente negli altri
Come si può pensare che, in tale situazione, i piccoli che fanno parte della lista dei più forti possano avere la possibilità di far eleggere un loro candidato con le preferenze?

Vincenzo Paolillo